Voglia di Radio


Dalla metà degli anni '60 stava montando nei giovani in tutta Europa una voglia di radio, intesa come sorgente di intrattenimento, musica e anche informazione non controllata dai vari governi. Nel paese europeo leader allora nella libertà e nel progresso dei costumi, la Gran Bretagna, questa voglia era stata soddisfatta dalle cosiddette radio pirata (Radio Caroline, Radio Veronica) e la stessa cosa avveniva in altri paesi del Nord Europa.
Il costo di un impianto di trasmissione a norma e di qualità (trasmettitore entro gli standard, potenza adeguata, emissione stereo) poteva arrivare intorno ai 50 milioni di lire di allora, ma utilizzando elettroniche usate (a volte di provenienza militare) o riadattate o limitando la potenza si poteva partire anche con 5 milioni. L'esercizio poteva costare intorno ai 5-10 milioni al mese, nel caso delle rare radio che retribuivano i collaboratori. Per radio con impianti più economici, ospitati in sedi varie (per esempio parrocchie o sezioni di partito) e ricorso al volontariato si poteva scendere di molto nei costi iniziali e ricorrenti.
Quella stagione venne celebrata dalla canzone di Eugenio Finardi "La radio", che enfatizzava la radio come strumento di informazione libera e "non invasiva", ed esprimeva l'entusiasmo per un nuovo strumento di comunicazione. 

La stessa stagione fu celebrata, nel 1998, dal film esordio di Luciano Ligabue "Radio Freccia".
La selezione tra le radio però non è stata tale da liberare le frequenze, e l'affollamento radiofonico degli inizi è rimasto poi cristallizzato per sempre, insieme alla confusione e alla sovrapposizione di frequenze, regolamentate dalla legge Mammì degli anni '80, ma tutt'ora in attesa di applicazione.