40 anni fa


Così a Bologna nacque la prima radio libera italiana… di Rino Maenza


Dal febbraio 1923, anno di fondazione da parte del regime fascista dell’ente radiofonico Uri, convertito poi in Eiar e quindi in Rai Tv, al novembre 1974, nessuna città italiana aveva mai ricevuto attraverso la radio una voce diversa da quella delle centrali dell'informazione di stato.

Alle ore 11 di mattina del 23 novembre 1974, per la prima volta nella storia delle comunicazioni del nostro paese, un’emittente indipendente, democratica e cittadina iniziò una serie di trasmissioni radiofoniche all’insegna del principio dell'accesso pubblico per fare arrivare a una città intera la voce dei propri cittadini senza veli e censure. Fu un evento unico, un contributo per la democratizzazione della Rai Tv ed il suo effettivo decentramento a livello di base, un'esperienza fondamentale verso la costruzione della libertà di comunicazione che servì anche ad aprire la strada alla televisione libera.

La data della nascita di «Radio Bologna per l’accesso pubblico» non fu casuale: di lì a pochi giorni, il 30 novembre, il governo Moro avrebbe dovuto pronunciarsi con un decreto sulla riforma dell'emittente di stato.Ecco allora il concretizzarsi dell’idea, un progetto nato di comune accordo tra il sottoscritto, allora ancora studente ed il mio amico regista Roberto Faenza, che era appena tornato dagli Stati Uniti dove aveva vissuto alcuni anni sperimentando nuove tecnologie di comunicazione (televisioni di quartiere, radio cittadine, video-tape, etc).


Allora la città di Bologna era un osservatorio-laboratorio vivace che vedeva nel ruolo dell'informazione un elemento importante di discussione e di prospettiva. Il nostro obiettivo era solo quello di dimostrare la possibilità di trasmettere, quando la Rai diceva che non c'erano frequenze libere. Essendo la nostra una radio "dimostrativa", che non aveva la pretesa di durare nel tempo, ma solo di aprire una breccia nella fortezza del monopolio di allora, ci interessava soprattutto dare la parola ai soggetti tradizionalmente esclusi dalla radio e dalla televisione: studenti, operai, consigli di quartiere e di fabbrica… Ovvero quello che già si chiamava diritto all’accesso pubblico dei grandi mezzi di comunicazione di massa radiotelevisivi.


Dell’iniziativa promossa dalla Cooperativa Lavoratori Informazione facevano parte i compagni: Mario Bortolini, Piergiorgio Righi, Pierluigi Franzoni, l'avvocato Giorgio Finzi ed Elda Ferri, oltre naturalmente a Roberto Faenza e a me. La regione Emilia Romagna allora era tra le più attive nel promuovere un tema dominante per le prospettive dei nuovi organismi come l'apertura della Rai ad una più ampia partecipazione pubblica. Al progetto «Radio Bologna per l’accesso pubblico»aderirono importanti organismi di base della città: consigli di zona, quartiere, fabbrica, sindacati, Cooperativa Artigiani, direzione e redazione del nuovo quotidiano regionale, il Professor Fedrazzi, il gruppo editoriale «Il Mulino», l’Associazione Artigiani, la redazione dell’Avanti e la segreteria del Psi. Così, quel 23 novembre del 1974, da una roulotte bianca posizionata nella vecchia fattoria sul colle dell' Osservanza, si andò in onda «senza chiedere il permesso».


Un radioamatore di Treviso aveva messo a disposizione il trasmettitore militare che il tecnico Bruno Salerno modificò ritoccando le frequenze. L’antenna, capace di raggiungere 700 mila Bolognesi, tra i 102 e i 104 megahertz, era issata su un manico di scopa. Con un impianto artigianale di mezzo milione di lire lanciammo la sfida al monopolio della Tv di stato.

Il palinsesto veniva inventato lì per lì, ma in linea di massima era già deciso prima di partire. Il materiale da mandare in onda si produceva grazie all’impegno di studenti e impiegati che giravano per i quartieri o nei luoghi di lavoro con il registratore in mano, raccogliendo le opinioni della gente su problemi d’interesse generale. Dunque erano i protagonisti delle situazioni e dei problemi, senza mediazioni o filtri, a poter parlare per la prima volta, e la formula aperta, la possibilità di fare informazione in prima persona, coinvolse gli ascoltatori che risposero con decine di telefonate alla radio, o meglio, al numero del contadino che abitava nel campo vicino alla roulotte.

Non solo comizi e quartieri, ma anche buona musica, jazz raffinato e John Cage. Intervenivano ospiti prestigiosi come Livio Zanetti, allora Direttore dell' Espresso ed il sindaco Zangheri, disponibile a mandare in onda i suoi interventi.

Stipati in dieci nella roulotte, magari facendo confusione con i nastri e rovesciandosi addosso il caffè bollente durante la diretta, «Radio Bologna per l'accesso pubblico» mise in onda per due giorni quattordici ore di trasmissione.

L'accoglienza fu buona e non solo a Bologna, soddisfacente la ricezione, alto l'interesse e l'indice di gradimento: insomma un successo.Quel sabato 23 novembre, cercando di sintonizzarsi sulle reti radiofoniche nazionali della Rai, qualche migliaio di bolognesi restò sbalordito: al posto della voce del solito speaker del radiogiornale regionale, o di Orietta Berti che cantava «Io, tu e le rose», stavano captando quella tonante di Marco Pannella, impegnato in una delle sue roventi invettive di allora sulla necessità di democratizzare l'informazione. Senza cambiare frequenza, ma restando lì intorno ai 102-104 megahertz, ascoltarono a bocca aperta un dibattito sul traffico cittadino dal quartiere San Ruffillo, e le lamentele in diretta di un tassista bolognese sulle corsie preferenziali intasate dagli abusivi, un reportage sulle ripercussioni della congiuntura economica sulla vita delle famiglie e nelle fabbriche della città. Toccava ai miei colleghi della Cooperativa parlare ai microfoni dentro la roulotte, a qualunque costo, finchè il governo non avesse riformato la Rai.

Trasmettere senza licenza era vietato, si rischiava il carcere, il Corriere dell’Informazione dichiarò che andavamo in onda con l’aiuto dei ribelli Rai.

Dall’inizio delle trasmissioni una jeep anonima con un’antenna di cinque metri sul tetto si era appostata affianco alla roulotte. Si trattava di un mezzo mobile della polizia postale (Escopost) che aveva il compito di captarci ed ascoltarci, gli investigatori registravano tutto e poi lo riversavano coi ponti radio negli uffici dei vertici della Rai a Roma. L’allora Direttore della Rai, Ettore Bernabei organizzò a Roma un gruppo di ascolto e un meeting sul fenomeno bolognese. Pare che ripetesse: «Ma chi sono questi?».

Vigilando per sette giorni fino a quel fatidico 30 novembre legislativo, Radio Bologna continuò le sue trasmissioni lavorando quasi in clandestinità, con pochi mezzi.

Dopo pochi giorni, però, una volante della polizia perquisì la nostra sede, ma noi avevamo già chiuso le trasmissioni a mezzanotte ed un minuto del 30 novembre del 1974, ovvero dopo un minuto dalla firma del Presidente del Consiglio Aldo Moro del primo decreto di riforma della RAI.

Nonostante «Radio Bologna per l’accesso pubblico», raggiunto l’obiettivo della firma del decreto di riforma smise le sue trasmissioni, costituì comunque e certamente uno stimolo per la nascita, qualche mese dopo in tutta Italia, di diverse emittenti radiofoniche autonome ed indipendenti: «le radio libere».

A Bologna quindi il merito di essere stata l’incubatrice di una importante esperienza di innovazione culturale e sociale, oltre che tecnologica. Una provocazione culturale e un pionieristico esempio di controinformazione che avrebbero aperto varchi immensi. La nostra scelta cadde sulla radio piuttosto che sulla tv perchè a noi sembrava allora il mezzo più idoneo per flessibilità e possibilità di accesso, il mezzo più versatile e incisivo, con un'elasticità che gli altri non hanno.

La radio oggi più di ieri è il mezzo di comunicazione di massa che meglio consente di penetrare nella società e orientare i grandi modelli culturali.

Rino Maenza